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L’intreccio di parole si congela e si arresta. I commensali grandi guardano lei e guardano me; quegli adulti non hanno saputo fare altro che restare muti, in un silenzio pieno di imbarazzo e affollato di pensieri politicamente corretti. Sono sicura che erano tutti lì a perdere tempo, intenti a prepararsi il discorso giusto, pronti a raccontare che non tutti i bambini nascono uguali e che questo non era certo un problema, anzi. La consapevolezza che dovevo cavarmela in prima persona e che nessuno in quel manipolo di intellettuali rivoluzionari sarebbe stato davvero capace di togliermi le castagne dal fuoco, mi ha fatto superare un certo sottile senso di fastidio che sentivo montare nello stomaco.

C’era una volta una bambina di quindici mesi. Osservava il mondo e ancora non parlava. Era estate, un giorno di pioggia. In mezzo agli alberi, in braccio allo zio, si lascia scappare una frase: “Quante foglie gocciolanti”. Non l’avrebbero più sentita dire altro per un anno ancora. 1. Il grembiule arancione Il grembiule arancione della scuola Montessori di Padova me lo sono portato anche a Gorizia. Arrivata alla nuova elementare, mi ritrovo con le altre bambine che avevano, tutte, il grembiule bianco.

5. Il caffè del signor Toni Si finiva scuola all’una del sabato e poi, cinque minuti dopo la campanella, via in macchina. Direzione, per l’appunto, Venezia. Non c’era settimana che si saltasse quella che a ben vedere assomigliava a una fuga. Un andarsene necessario per respirare aria diversa, per staccarsi almeno un poco dalla realtà del manicomio. Gradisca di Isonzo, Cervignano, Latisana; si superava Portogruaro, si arrivava in Veneto sfiorando San Donà di Piave, poi Mestre. Ed era quasi finita: bastava imboccare il Ponte della Libertà ed eccoci arrivati a Piazzale Roma: il limite invalicabile per le auto, che lì sono da mollare per entrare in città.