By Cornelio Fabro

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La nozione berkeliana dell’idea ha potuto fare questi progressi perchè il suo Autore ha voluto essere ligio al principio lockiano dell’analisi, con maggior rigore di quanto non abbia fatto Locke stesso. Questi aveva ritenuto ovvia e sensata non solo l’affermazione di un mondo esterno, indipendente dall’affermazione del soggetto, ma aveva anche difeso la legittimità delle idee astratte e così altro era per lui l’esserci di un oggetto (esistenza) e il contenuto di quest’oggetto. Per Berkeley, e ormai lo si comprende, ammetter questo è lo stesso che voler dividere una cosa da se stessa.

L’«idea» è per Locke ciò che la mente apprende degli oggetti in dipendenza immediata o mediata di un’eccitazione ricevuta dall’esterno sopra qualche parte del corpo. L’idea allora è «ciò che la mente percepisce in se stessa, ed è l’oggetto immediato della percezione, del pensare, o dell’intendere»; essa ha per corrispondente la qualità del corpo soggetto che l’ha provocata10. Locke suppone adunque che la esperienza primitiva implica da una parte la coscienza di sé, e dall’altra l’avvertenza della cosa; come anche la relazione che ambedue hanno nell’idea, in quanto che l’idea, nella sua semplicità originaria, è riconosciuta come un risultato ed è riferita alla materia, come effetto a causa.

Così il tatto ha per proprio oggetto delle qualità ben definite che non hanno nulla| in comune con quelle, non meno definite, della vista: cos’ha in comune la durezza o la mollezza con i colori? Ora, se le cosiddette «qualità primarie» sono inseparabili dalle secondarie, è da pensare che non sono date che in esse e per esse: se quelle sono soltanto nella mente, lo saranno anche queste, poiché non è possibile, neppure con l’astrazione, concepire la estensione e il moto di un corpo senza tutte le altre qualità sensibili.

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